Ora
immaginate di essere un attore che non riesce più a recitare.
Da
qualche tempo, avverte che le battute e le azioni previste dal
copione sono del tutto inadeguate e insufficienti a esprimere la
lacerante, contraddittoria complessità del presente, che lui
percepisce, pur senza riuscire a decifrarla del tutto, con un certo
sgomento, che, spesso, cresce fino al disgusto.
Immaginate
di essere un attore che, una volta tanto, rifiuti la propria tipica
funzione di automa da palcoscenico e decida, improvvisamente, di
dire o fare qualche cosa che non sia comandata da quel testo che
ripete ogni sera e che il pubblico e i colleghi si aspettano da lui.
Lo sa: basterebbe pochissimo a spezzare il meccanismo perfettamente
ordinato della rappresentazione e scuotere lo spettatore dal
torpore, obbligandolo a guardare in modo inconsueto e non
convenzionale la realtà che quotidianamente lo circonda, della quale
è, insieme, vittima e complice.
Ma
dove trovare una parola, un gesto, che, nella sua immediata
semplicità e trasparenza, sia tanto potente, tanto eversivo?
Questa
è la domanda, non detta, che il protagonista dello spettacolo,
instancabilmente, si pone – e noi con lui.
Se
cercate risposte certe, soluzioni, rassicurazioni, consolazioni,
avete sbagliato posto: non entrate neppure; non ne troverete.
Tutto
ciò che l’attore ha da offrirvi sono i sogni, le metafore, le
allegorie, i paradossi – solo apparenti – che due grandi artisti
italiani hanno immaginato e scritto tra il 1975 e il 2000.
Sembra
passato un tempo infinito da quegli anni.
Eppure,
Gaber e Luporini devono avere inventato una macchina fotografica
capace di vedere, davvero, molto lontano. Perché, il disagio, la
rabbia, lo smarrimento, l’impotenza, la disgregazione
dell’individuo; la crisi di qualsiasi morale e appartenenza; il
trionfo dei miti ingannevoli, impersonali, della moda e del mercato,
che loro hanno intuito e raccontato, in anticipo sui tempi
(attraverso l’ironia, a volte agra, e la sintesi estrema che solo
il teatro rende possibile), sono, precisamente, ciò che caratterizza
la realtà, sdrucciolevole e ostile, che noi viviamo, oggi.
Infine,
una domanda a voi, prima di cominciare: cosa chiedereste, stasera, a
Marx e a Gesù, se vi fosse data la possibilità di incontrarli?